A rendere ancor più interessante l’ultima tornata elettorale in Israele c’è l’apertura del partito arabo Ra’am
A confronto con la realtà mediorientale Israele è un’eccezione a livello elettorale: un paese così vivace, brioso, quasi irrequieto. La democrazia israeliana, a maggior ragione in uno dei momenti più caotici degli ultimi anni, si è ritrovato in una crisi politica senza precedenti.
Dopo ben tre passaggi dalle urne in meno di due anni, la Knesset, il Parlamento, non ha trovato un assetto in grado di costituire un’alleanza di Governo stabile e duratura. Non sono bastati i primati del Likud, il partito per premier uscente Benjamin Netanyahu, per superare la soglia dei 60 mandati e creare una maggioranza forte e compatta. Per questo motivo, il Presidente della Repubblica Reuven Rivlin non ha avuto altra scelta se non di sciogliere la camera e richiamare i cittadini al voto per la quarta volta.
Dopo una rapida campagna elettorale, segnata dall’ombra del processo giudiziario a Netanyahu, ma anche dalla fantasmagorica campagna vaccinale, il panorama politico si è ridotto a una cruciale domanda “ancora Bibi o basta Bibi?”. Mai come oggi, un personaggio pubblico ha avuto un’influenza tale da monopolizzare il dibattito politico del Paese. Da un lato, i fedelissimi del Likud, insieme ai partiti religiosi di destra, dall’altro, un variopinto mosaico di partiti unito solamente dall’avversione all’attuale Premier ma incapace di costruire un’alternativa di governo. Un panorama che vede una destra nazionalista, lo storico Labour fino ai due partiti arabi. Sì, ben due! Infatti, vale la pena ricordare che il milione e mezzo di arabi residenti in Israele non solo è cittadino a pieno titolo e con diritto di voto, ma ha anche una nutrita rappresentanza parlamentare.
Tornando nel merito delle scorse elezioni invece, i risultati pervenuti nella giornata di ieri purtroppo non sembrano risolvere la prolungata crisi politica. Il Likud si riconferma primo partito, attestandosi sui 30 mandati, tuttavia, la coalizione di Netanyahu continua a non sfondare, rimanendo in bilico tra i 59 e i 60 mandati.
Dunque, tutto nuovamente in stallo: da una parte, la coalizione uscente non è in grado di formare un governo solido, dall’altra è impossibile pensare a un’alleanza “anti-Bibi” capace di congiungere sia gli esponenti nazionalisti di destra, che le anime socialiste e arabe. In un certo senso, non ha vinto nessuno, ma allo stesso tempo ha di nuovo vinto “King Bibi”, che ancora una volta ha spazzato via qualsiasi ipotesi di un governo senza di lui.
Certamente, non è chiaro come voglia agire adesso il leader del Likud, ma la notizia dell’ultima ora, sulla clamorosa apertura del partito arabo Ra’am a un Governo capace di provvedere alle esigenze concrete e immediate della popolazione araba israeliana, aggiunge una nuova carta in tavola. L’ipotesi, ancora molto surreale per la presenza dei partiti religiosi ebraici di estrema destra, è già di per sé una svolta clamorosa delle dinamiche israeliane. I partiti arabi, infatti, per una loro profonda differenza di vedute con il resto della Knesset, sono sempre rimasti esclusi dai ragionamenti per la Presidenza del Consiglio. Questa volta però, complici gli Accordi di Abramo (il nostro focus dettagliato) e un’inaspettata realpolitik, il capolista Abbas si è reso disponibile alla possibilità di fare un passo verso la coalizione di maggioranza, sottolineando l’evoluzione e l’integrazione dei propri elettori.
Chissà se per salvare la destra conservatrice israeliana, sarà necessario l’apporto proprio degli arabi…
Un sentito ringraziamento a David Fiorentini, Vicepresidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia, con il quale abbiamo avuto il piacere di collaborare in occasione della Giornata della Memoria grazie alle iniziative di EJA, per questa panoramica sul voto in Israele.
Sulle elezioni in Israele
C’era una volta – Un proporzionale demodé – Il Tazebao
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