Il Tazebao – “Venti punti per la pace eterna”: è questo il piano annunciato ieri da Donald Trump per porre fine alla guerra a Gaza, che si appresta a entrare nel suo secondo anno. Esso prevede, in sintesi, un cessate il fuoco immediato, il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza e l’interruzione dei combattimenti in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi e della consegna delle armi da parte di Hamas, i cui membri di ciò desiderosi beneficerebbero di un’amnistia e di un salvacondotto per emigrare nei Paesi vicini. La Striscia di Gaza, nel frattempo, verrebbe affidata a un governo tecnocratico per la cui guida è stato fatto il nome di Tony Blair. Indicativa l’approvazione, questa volta, di Benjamin Netanyahu, il quale ha affermato fuor di metafora, nella conferenza stampa congiunta col presidente americano, che tale piano «favorisce gli obiettivi militari di Israele». Ma dice molto anche e soprattutto l’approvazione di ben otto Paesi arabi: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Indonesia, Pakistan, Turchia, Egitto e persino il recentemente aggredito Qatar, che hanno lodato i «sinceri sforzi per porre fine alla guerra» presuntamente profusi da Trump. Rifiuto, invece, da parte di Hamas e del Jihad Islamico Palestinese, che vi vedono niente più che un tentativo di far passare per via politica gli scopi che Netanyahu non è riuscito a raggiungere militarmente, oltre che un disarmo unilaterale e il favoreggiamento di pressioni sulla Resistenza palestinese da parte delle petromonarchie del Golfo. Il piano appoggiato dallo Yemen è invece quello del presidente colombiano Gustavo Petro relativamente alla formazione di una coalizione mondiale in armi a sostegno della Palestina; il suo contributo ha già iniziato a darlo attaccando nel Golfo di Aden la nave Minervagracht, battente bandiera olandese, e ferendo due membri dell’equipaggio. (JC)
