«Da secolare squallore a vita nuova restituito»*. Un nuovo salotto ad hoc donato da una borghesia con pretese aristocratiche – ricerchine araldiche, annessi e connessi – per l’avventore indolente e mortifero: un centro commerciale blasonato da un’apparenza culturale.
Nella grande sala elissoidale luccica una montagna di libri di pregio sul tenore della biografia del crisoelefantino Carlo Conti, la raccolta dei motti del pingue Jerry, gli aforismi d’amore della Barbarella (ahinoi: non più) nazionale. Cose leggere «…ma comunque libri che si leggono», e così crepano le librerie di quartiere. Lasciamo la polvere sui libri usati, anzi, buttiamoli: bandiamo il trasferimento delle lettere di mano in mano, perché da un anno il Nuovo Cinema Odeon è un salotto di pace, dove studenti eco-bio-cis-gay e altri giovanotti appuntano pensieri su carte di pregio, penna ed evedenziatore alla mano ma incatenati dal polso alle orecchie con pc, tablet, cuffie e altri devices; addetti ai lavori incravattati con al seguito sempre più brand-new intellettuali stravaganti dotati di uno snobbismo che nasconde lacune, complessi edipici e altri sensi di inferiorità. E, ancora, esseri imbalsamati sulle poltrone davanti allo schermo più grande d’Europa, a luci accese, con proiezioni mute di cartoni animati e altri generi, in attesa della programmazione serale. Più degli affreschi e delle altre decorazioni, ecco chi addobba questo enorme centro commerciale in pieno centrocittà: i trofei della vittoria, una folla addomesticata di persone.
Marcello Piacentini, principe dell’architettura del Ventennio, ottenne l’incarico per la costruzione del nuovo cinematografo nel 1922, il “Savoia”. L’esterno del palazzo, già Palazzo dello Strozzino (crollato in parte in seguito ai terrificanti lavori di Poggi), fu conservato da Piacentini, aggiungendo la lanterna a tempietto di Morescalchi per segnalare la direzione della sala da ballo sotterranea, il “Bal Tabarin” (oggi discoteca!). Dentro il cinema le decorazioni Art decò: oltre alla cupola di Piacentini, i lavori di Antonio Maraini, Giuseppe Gronchi, Matilde Piacentini, e il noto motto di Lorenzo il Magnifico che campeggia, come invito a godersi lo spettacolo.
Ma nel 2023 con i nuovi lavori e il desiderio sempre più urgente di riempire infinitamente lo spazio hanno ficcato, perché no, una libreria e un bistrot – come ha fatto a non pensarci quel cretinetti di Piacentini – e si può immaginare una futura sala dedicata ai luxury brand di moda, tanto per aumentare la clientela e il giro d’affari. Insomma, il vecchio Odeon ha acquisito il sapore dell’insensatezza del denaro, con il food, il beverage, l’intellectual, la mondanità, e una noia mortale.
Così si crea l’NCO (Nuovo Cinema Odeon), ovvero un altro ingranaggio infausto del turismo culturale fiorentino. E a chi affidare la direzione artistica se non allo stimato Gabriele Ametrano? Il Nostro, entrato e uscito dalla prestigiosissima scuola Holden di Torino con l’attestato di “Poeta e scrittore” e il titolo di “Maitre a Penseur”, fresco e giovanile e spigliato, ha composto intense raccolte di poesie quali Il rumore dell’anima che oggi sappiamo essere senz’altro una pernacchia (ai visitatori dell’NCO, si capisce) e de La musica dell’inquietudine quella che attanaglia il visitatore, e dell’accorata quanto speranzosa (anche per noi) Tornerà la stagione dei sogni. Ma agisce anche sul territorio portando il festival La città dei lettori per addormentare bambini e casalinghe. A questo punto sarebbe stato meglio chiamare “O’ Professore”, Raffaele Cutolo – più carismatico maestro di crimini culturali.
Insomma l’NCO è l’ennesima masturbazione borghese che acceca anche i giovani, obbedienti nel fare cose per vecchi, e da vecchi. Ecco: ogni discoso accompagnato da citazioni seducenti ma del tutto superflue e da un «Bello», «Bellissimo» slabbrato ma sempre in bocca, stupisce l’ascoltatore che molleggia la chiorba in un ritmato «Interessante, molto interessante» e capitola, infine, con un trasognato e romantico: «Meraviglioso!». Ecco i luoghi deputati alla bellezza o alla meraviglia quando si riducono a un’esclamazione esteriore come il «Bravo!» che si urla all’Operà, e non invece ciò che si acquisisce privatamente, nello spazio e nel tempo sacro di una biblioteca, di un piccolo museo – o di una chiesa, si capisce, con le sue tavole e architetture. Perciò, è evidente che l’NCO spettacolarizza, esibisce, e non educa né crea bellezza con i sui prodotti di largo consumo e niente affatto impegnati, per non dire: contraffatti. Certo, rimane che «Firenze l’è la hulla d’i Rinascimento», però, «Che ce frega?», «Xe i schei che conta!». Infatti, a guardare bene, questo spazio di apparente respiro internazionale, è solo una vecchia cocotte un po’ truffaldina, con seni e natiche gonfie, filler nelle labbra e trucco pesante; rea, senz’altro, del furto di un bellissimo vestito liberty. Dalle tendenze tutt’altro che sofisticate, ma ammaliante e perfetta sotto le luci abbacinanti della sua alcova.
La comunità ha bisogno di spazi sacri, di amore, non di sesso a pagamento: apriamo le biblioteche, salviamo i caffè storici, ripristiniamo le industrie abbandonate per farne centri musicali e boicottiamo gli spazi privi di senso, seppur belli, messi in piedi da una élite cafona a suon di food, beverage, call di lavoro, piante verdissime, progetti e progettini (si confronti la biblioteca San Giorgio di Pistoia come esempio moderno di luogo sacro). Non è Starbucks che rende una città moderna, ma il coraggio che ha il libraio di quartiere nella selezione autonoma dei suoi libri, nel direttore di teatro o nel gallerista che, senza competizione e logiche di marketing, presenta volti poco noti, ingombranti, fastidiosi, controversi. Le persone che non hanno timore di dibattere fanno passi silenziosamente rivoluzionari.
Mentre Firenze si propone pateticamente come città internazionale con la sua cittadella culturale imperniata su una modernità già passata, stanca, mortifera ma ingrassata dal turismo: Palazzo Strozzi e le sue mostre (non, ultimo Kiefer, arcinoto da più di 20 anni, Hangar Bicocca e, di nuovo, la San Giorgio di Pistoia), l’Apple Store, L’antico vinaio, il ristorante con l’effigie di Sophia Loren… e con l’NCO si rafforza il nostro outlet culturale. Ma suonano ancora le corde fruste di una chitarrina che canta il mito del Rinascimento antico (che non c’è più) e moderno (che non esiste!).
In ultimissima analisi, chi abita una città come Firenze diventa egli stesso turista proprio perché i luoghi vengono modellati con deferenza a uso del turista togliendo ogni senso ai suoi spazi e rendendo sempre più periferico il centro, votato al turismo culturale, alla portata di ogni cafone.
* Scritta voluta da Poggi sul portale di piazza della Repubblica dopo i lavori realizzati a Firenze, quando buttò in macerie le architetture che potevano creare imbarazzo per una capitale (1865) e costruirne di nuove secondo lo spirito e il gusto europeo del tempo.