Il Tazebao – Che ci fosse sotto qualcosa di più profondo era evidente per tutta una serie di fattori, dalla precisione chirurgica della insider alla tempistica spiazzante. Come bombe programmate per esplodere in sequenza.
Per nostra deformazione siamo abituati, a differenza di una stampa italiana sempre più ripiegata su sé stessa, a leggere i fatti nostrani nel contesto, nella fitta trama internazionale. Esercizio, mai come oggi, utile. Ancora una volta, infatti, bisogna sganciarsi dalla mera ricostruzione di fatti per cogliere l’essenza profonda, nel tentativo di anticipare i movimenti successivi.
Il caso Boccia arriva in un momento preciso e segna un punto di svolta. È un giro di boa per il primo governo Meloni, giunto quasi ai due anni di attività. Due anni certamente convulsi, in cui per gli eredi del MSI non è stato facile tenere la barra dritta.
Dal 2022 la penisola, già sfibrata, ha subito il taglio prima della continuità con la Russia, rileggendo la cronaca scopriamo che le forniture erano state interrotte ancor prima dell’interruzione del Nord Stream 2, poi con il Mediterraneo di Levante; in entrambi i casi l’Italia è stata costretta a una inversione rispetto alle tradizionali direttrici della politica estera (filo-russa e filo-araba), alla quale Meloni si è accodata. Ciò ha determinato un rialzo generalizzato dei prezzi (nell’attuale mese l’energia elettrica riprenderà a crescere), il fermo produttivo in molti distretti, un’inflazione preoccupante. È la crisi di un modello italiano e non è un caso che proprio la classe media, cuore di questo modello, stia diventando, pericolosamente, sempre più proletaria. Per tutta l’estate, inoltre, si sono lette notizie poco rassicuranti sul fronte del turismo che, nella mente di qualcuno avrebbe dovuto sopperire alla produzione.
Riavviciniamoci adesso alla vicenda che ha portato alle dimissioni del Ministro della Cultura, l’ex direttore del Tg2. La sistematicità con la quale la dott.ssa Boccia, ammesso si chiami così, ha dispensato, alimentando un caso che prima non aveva rilevanza, le informazioni, prima post in risposta ad “attacchi” – Dagospia informa dell’incarico sul finire di agosto – e, alla fine, attese interviste (La Stampa e La7 per ora), certifica che non si tratta di una sprovveduta, come si è cercato di liquidarla nella prima fase delle operazioni.
Proviamo ad analizzare alcuni dei contenuti di Boccia. Al netto del caso in questione, Boccia ha tenuto il punto sui costi, segnatamente i rimborsi delle trasferte, ribadendo che il suo incarico era gratuito e di non essere alla ricerca di un posto al sole, forse nel tentativo di screditare altri membri del governo, vedasi alla voce Ministro dell’agricoltura, e truppe al seguito, sensibilmente più voraci. Boccia ha preso in contropiede la premier “donna e madre”, che ha scelto di non menzionarla, agitando gli attacchi “maschilisti” da lei subiti. Sono entrambi due punti – costi della politica e “sessismo” – che, se non toccano direttamente la pancia delle persone, accarezzano la narrazione mainstream.
Certificato che non è una sprovveduta, Boccia vede il suo consenso social aumentare giorno dopo giorno e, in un paese dove basta dire di aver venuto “100 mila copie” per meritare onori e candidature, tutto può succedere. Del resto, l’economia è sganciata dalla produzione materiale, la politica dal consenso nelle urne, l’informazione dalle copie vendute, il calcio dagli spettatori.
C’è un altro aspetto interessante. Il conflitto si consuma anche sul fronte dell’informazione: l’AdnKronos più filo-governativo, l’Ansa fortemente sbilanciata contro, il polo-Cairo fa da avanguardia anti-governativa, il triangolo Verità-Libero-Tempo non così abile nel serrare le fila. Insomma, anche nel mondo dell’informazione si chiariscono i blocchi e le alleanze. Nei prossimi mesi il governo sarà sicuramente ancor più oggetto di attacchi e dovrà saper variare strategia.
Ci piace rilevare che quasi in contemporanea sono usciti aggiornamenti sul caso Trocchia. Non interessa, ovviamente, andare a fondo sulla vicenda giudiziaria quanto rilevare ciò che sta sotto la superficie. I modelli culturali – leggiamo su Repubblica di gente che si fa le corna e ha rimorsucci da sbandierare ai quattro venti, con tanto di commento tecnico della psicologa – sembrano predicare massima libertà, costumi liberissimi e sessualità iper-precoce; all’atto pratico, riemerge un moralismo censorio, quasi cromwelliano. Insomma, c’è una transizione verso un amore poco attivo e molto interattivo, non libero, non divertente perché imbrigliato in formalismi e burocrazie preventive.
Nel frattempo, la ripresa delle attività politiche appare non semplice. Le borse, Milano in testa, hanno ripreso a vacillare pericolosamente ieri, mentre si attendeva l’intervista di Boccia. La penisola sarà sotto feroce fuoco incrociato.
Chiudiamo questa analisi volutamente di ampio respiro, con un punto sia su Sangiuliano sia sul nuovo Ministro, Alessandro Giuli. Il primo non sembra essere riuscito a far passare un’agenda culturale differente. Anzi, ci viene riferito di nomine puntualmente pescate a sinistra o di frequenti incontri con personalità marxiste al Ministero. Quanto al secondo, ci basti rilevare che a una mostra del Maxxi da lui diretto c’erano fotografie di donne illustri tra cui “Elodie” (!?), Concita De Gregorio e Michela Murgia.
I blocchi sono, dovrebbero, essere chiari, i prossimi mesi durissimi. Le furbizie, Sangiuliano insegna, non servono.