La crisi di governo che scuote oggi la Francia – precipitata dopo le dimissioni di Sébastien Lecornu, ultimo anello di una catena ministeriale ormai fragile – non nasce dal nulla.
Il Tazebao – È il punto d’approdo di un lungo logoramento che ha dissolto la sostanza del vecchio gollismo in un simulacro plebiscitario e televisivo. Marine Le Pen, Bardella e gli altri epigoni del Rassemblement National parlano di “sovranità”, ma il loro linguaggio tradisce la matrice americana del trumpismo: un nazionalismo senza nazione ed un populismo subordinato al modello comunicativo e geopolitico di Washington. La destra francese ha rinunciato al gollismo come principio d’autonomia, per abbracciare l’abbandono di ogni proiezione di potenza e la subordinazione preventiva a Washington e Tel Aviv, in cambio di una timida licenza di amministrare l’Eliseo.
Eppure il gollismo, nella sua essenza, fu l’unico contrappeso strutturato al modello atlantico. De Gaulle non voleva una Francia “contro” l’America, ma una Francia capace di pensare l’Europa fino agli Urali, emancipata dal sistema dei blocchi di Jalta. In quell’idea di sovranità continentale – né con Mosca né con Washington – si giocava la possibilità di un’Europa adulta. Oggi quell’orizzonte è totalmente sfumato in una Quinta Repubblica privata del suo mito fondativo, ridotta ad un satellite che gira attorno al pianeta NATO. Non possiamo saperlo, ma non è da escludere che l’attuale crisi parigina porti l’impronta di un sabotaggio ostile, americano o quantomeno atlantico.
L’assalto al sistema di De Gaulle non è nuovo: cominciò quando il Generale ritirò la Francia dal comando integrato della NATO e pretese la restituzione delle riserve auree francesi da Fort Knox. Qualche anno dopo, la sua caduta – preceduta da un maggio ’68 tanto mitizzato quanto opaco – assunse i tratti di un’embrionale “rivoluzione colorata”, un esperimento di destabilizzazione in piena regola. Il testimone venne raccolto da Georges Pompidou, ex banchiere di Rothschild, volto tecnocratico e conciliatore che fece da garante del rientro nell’ordine occidentale. Da allora, ogni scossa all’Eliseo è una scossa al cuore dell’Europa. La Francia, malgrado tutto, resta l’unico Stato continentale con una forza nucleare autonoma, una diplomazia storicamente refrattaria alla subordinazione e un’industria militare ancora nazionale. Toccarne la stabilità significa neutralizzare qualsiasi residua velleità di potenza fuori dalla “dimensione Occidente”.
Non è da trascurare, inoltre, che il nemico di Parigi non parla solo inglese, bensì anche tedesco: dietro la cortesia protocollare, la Germania post-riunificazione non ha mai smesso di essere quella ammaestrata di Bonn, atlantica e devota all’ombrello statunitense. Quando la Francia cercava un’autonomia strategica lanciando la European Intervention Initiative (EI2), Berlino rispondeva con la European Sky Shield Initiative (ESSI): un sistema di difesa aerea costruito senza consutlare l’Eliseo, scegliendo tecnologie americane e israeliane invece che europee. Chi vuole intendere, intenda.
Lungi dal romanticizzare la figura di Macron, troppo spesso grigia, opaca e francamente altera rispetto a ogni pretesa di emancipazione continentale (più simile a quella di gestore dell’esistente), l’implosione dell’Eliseo va letta come un sigillo del continente nel recinto atlantico, volta a punire il paese che più di altri orienta le opinioni nello spazio europeo e che – evidentemente – negli ultimi tempi ha troppo spesso contraddetto Washington.
(In copertina Wikimedia Commons)