Essere “l’ebreo” degli ebrei (in Israele): una controstoria Haredim

Foto di Aharon Luria nel quartiere di Mea Shearim a Gerusalemme
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Può uno “Stato ebraico” perseguitare degli ebrei? La controversa storia degli Haredim. Per andare alla radice dei problemi, sine ira et studio.

Il Tazebao – Il riacutizzarsi dell’ormai pluridecennale conflitto israelo-palestinese dal 7 ottobre 2023 e il suo allargamento praticamente all’intero Medio Oriente (Hezbollah è entrato in guerra a sostegno dei palestinesi il giorno dopo, seguito poi dagli Ansarallah yemeniti, dalle Forze di Mobilitazione Popolare irachene e da volontari del Partito Social-Nazionalista Siriano, contando poi le rappresaglie iraniane su Israele del 13 aprile e del 1° ottobre a causa, rispettivamente, del bombardamento sul consolato iraniano a Damasco e dell’uccisione di Ismail Haniyeh, Hassan Nasrallah e Abbas Nilforoushan) hanno acutizzato e aggravato esponenzialmente le contraddizioni in cui già si contorceva lo Stato di Israele.

La speranza del primo ministro Netanyahu di ricompattare la società israeliana attorno a sé con l’Operazione Spade di Ferro, seguita all’Operazione Alluvione di Al-Aqsa, ha piuttosto generato il risultato opposto: l’obiettivo dichiarato di estirpare Hamas, liberare gli ostaggi e riprendere il controllo della striscia di Gaza è stato tutt’altro che raggiunto, con le Forze di Difesa Israeliane che non hanno ottenuto alcun successo strategico in un anno di guerra, ma perdendo anzi il maggior quantitativo di uomini e mezzi nella loro storia, già coinvolti in un conflitto dalla lunghezza senza precedenti rispetto a quelli che erano abituate a combattere. I continui attacchi di Ansarallah e il blocco navale da essi decretato nello stretto di Bab el-Mandeb ha mandato in bancarotta il porto di Eilat, con la città vittima essa stessa di attacchi missilistici a più riprese. L’Operazione Frecce del Nord, con cui esse hanno tentato di sconfiggere definitivamente Hezbollah, che già distoglieva importanti forze dal fronte di Gaza dall’8 ottobre 2023, si è rivelata un insuccesso ancor più clamoroso, con pochissime e ininfluenti aree sotto il controllo di Tel Aviv e perdite ancor maggiori e più umilianti.

Le proteste che prima avevano per bersaglio la riforma giudiziaria, che secondo i promotori avrebbe conferito un ulteriore quantitativo di poteri al Primo ministro, e che si erano arrestate per lo shock iniziale dell’offensiva di Hamas, sono riesplose su scala incomparabilmente superiore, questa volta per esigere il rilascio degli ostaggi catturati nel contesto di quest’ultima. Il governo ha dunque pensato di estendere la leva e mobilitare più personale, ma con scarso seguito: ha dunque dovuto prendere in considerazione la revoca dell’esonero degli Haredim, ebrei ultraortodossi, una cui cospicua corrente è contraria all’esistenza stessa dello Stato di Israele in quanto “blasfemia” nei confronti delle Sacre Scritture ebraiche, le quali sanciscono chiaramente che la “terra promessa” viene data al popolo ebraico da Dio e non può impadronirsene autonomamente. Proprio per queste posizioni, diverse sinagoghe sono state saccheggiate, distrutte, chiuse a forza dalla polizia, mentre diverse manifestazioni da parte della comunità contro la coscrizione hanno visto scatenarsi una repressione violenta e inaudita.

Sul tema, il filosofo Giorgio Agamben ha scritto un articolo su Quodlibet, al solito profondo e coraggioso, in cui afferma:

«(…) L’esilio è la forma stessa dell’esistenza degli ebrei sulla terra e l’intera tradizione ebraica, dalla Mishnah al Talmud, dall’architettura della sinagoga alla memoria degli eventi biblici, è stata concepita e vissuta nella prospettiva dell’esilio. Per un ebreo ortodosso, anche gli ebrei che vivono nello stato d’Israele sono in esilio. E lo Stato secondo la Torah, che gli ebrei aspettano all’avvento del Messia, non ha nulla a che fare con uno stato nazionale moderno, tanto che al suo centro stanno proprio la ricostruzione del Tempio e la restaurazione dei sacrifici, di cui lo stato d’Israele non vuole nemmeno sentire parlare. Ed è bene non dimenticare che l’esilio secondo il Giudaismo non è soltanto la condizione degli ebrei, ma riguarda la condizione manchevole del mondo nella sua integrità. Secondo alcuni cabalisti, fra cui Luria, l’esilio definisce la situazione stessa della divinità, che ha creato il mondo esiliandosi da sé stesso e questo esilio durerà fino all’avvento del Tiqqun, cioè della restaurazione dell’ordine originario (…)».

E ancora:

«(…) Negando alla radice l’esilio e la diaspora in nome di uno stato nazionale, il Sionismo ha tradito pertanto l’essenza stessa del Giudaismo. Non ci si dovrà allora meravigliare se questa rimozione ha prodotto un altro esilio, quello dei palestinesi e ha portato lo stato d’Israele a identificarsi con le forme più estreme e spietate dello Stato-nazione moderno (…)».

Ma perché gli Haredim (“timorati”, sottinteso “di Dio”) sono esclusi dalla leva militare?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo risalire al 1947, quando Ben Gurion, per evitare conflitti con quell’11% della popolazione ebraica estremamente chiusa e tradizionalista nell’allora Palestina, promise loro il fedele rispetto di tutta una serie di regole tradizionali: cibo kosher nelle mense, celebrazione dello Shabbat, autonomia nell’istruzione e, appunto, esenzione dal servizio militare. Gli Haredim, in cambio, smussarono certi aspetti della loro ideologia per prendere parte, almeno in qualche ambito, alla vita politica del nuovo Stato di Israele: possono infatti eleggere ed essere eletti, i loro partiti di riferimento sono lo Shas (acronimo di Shom’rei Torah, “Guardiani della Torah”) e l’Ebraismo della Torah Unito, entrambi, ad oggi, parte del gabinetto di Netanyahu.

Il problema, per il governo centrale, è che la loro crescita ha fatto sì che oggi la loro esenzione dal servizio militare lascia fuori una sacca di 66.000 persone potenzialmente utili per il rafforzamento dei contingenti sul fronte palestinese o libanese. A ciò va inoltre aggiunto che gli Haredim non lavorano, ma, dedicandosi quasi interamente allo studio della Torah, vivono sostenuti dalle mogli e dai sussidi statali, anche se non si tratta di una comunità monolitica: molti, infatti, sostengono lo Stato di Israele e alcuni si arruolano persino nell’esercito. Una parte di loro vive, infatti, negli insediamenti ebraici creati più recentemente in Cisgiordania, sebbene più per ragioni materiali (l’aumento dei prezzi degli immobili in Israele) che ideologica, e ha sviluppato progressivamente una serie di rivendicazioni miranti all’egemonia religiosa sulla società.

I “Guardiani della Luce”

Più radicale e compatta, invece, è la comunità dei Neturei Karta (“Guardiani della Luce”), fondata nel 1938 a Gerusalemme da ebrei di lontane origini ungheresi e lituane ma residenti da tempo in Palestina, come scissione dal partito dell’Unione di Israele (“Agudath Yisrael”) . Non si riferiscono a sé stessi come organizzazione politica, ma come semplice comunità religiosa unita dall’interpretazione rigorosa e letterale della Torah e di alcuni passi del Talmud, interpretazione che li ha portati all’esilio dalla Palestina allorché fu fondato lo Stato di Israele, da loro ritenuto “eretico”. La frammentazione di questa comunità a seguito dell’esilio avrebbe reso loro impossibile formare un organismo politico con tutti i crismi del caso, senza contare la repressione posta in atto da Tel Aviv ai loro danni; essi hanno però sfruttato questa condizione per fondare una serie di sinagoghe, istituti didattici, case editrici e organizzazioni in vari Paesi del mondo: in particolare, tra queste ultime, spiccano la Jewish Voice for Peace, IfNotNow, il Jewish Socialists’ Group e l’Independent Jewish Voices for Canada. Il loro sostegno aperto e dichiarato alla Palestina li ha messi in contatto sia con i correligionari in Palestina che con governi ideologicamente affini pur se sotto altre bandiere religiose, primo fra tutti l’Iran, con cui esistono rapporti di lunga data: sono note, infatti, i loro incontri, in un clima estremamente cordiale e affettuoso, con presidenti come Ahmadinejad e Raisi.

Diventa dunque assai difficile, per usare un eufemismo, l’etichettatura di comunità come parte degli Haredim e i Neturei Karta quali “antisemiti”. Considerando, infine, che il 97% degli ebrei moderni sono mongoli, turchi e unni (khazari) e solo il 3% di essi ha sangue semita, contrariamente ai palestinesi che dai semiti discendono praticamente in toto, è forse antisemita chi da ebreo dichiara illegittimo lo Stato di Israele o chi, professandosi parimenti ebreo, distrugge sinagoghe e reprime altri ebrei?

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