Il Tazebao – Le elezioni di inizio mese in Repubblica Ceca potrebbero avere più strascichi del previsto: il ritorno di Andrej Babiš alla presidenza, come quello di Robert Fico in Slovacchia, è potenzialmente in grado di aggiungere un altro tassello al graduale spostamento dell’ex campo socialista europeo al di fuori dell’orbita, se non di Washington, più verosimilmente di Bruxelles. Anch’egli euroscettico e antiucraino, un futuro governo a guida Babiš (con ancora diversi nodi da sciogliere attinenti alla sua formazione) si collocherebbe nel quadro di quello che a Budapest sta venendo pensato come un asse contro Ursula Von der Leyen, sulla base della contrarietà alla prosecuzione di ogni aiuto militare all’Ucraina e all’ostilità verso la Federazione Russa. Ne ha parlato a Politico un consigliere di Viktor Orbán a proposito di un’eventuale riesumazione del Gruppo di Visegrad, in un contesto in cui anche la Polonia vede contraddizioni acuite dalla coesistenza del Primo ministro filo-ucraino Donald Tusk e di un presidente della Repubblica antiucraino quale Karol Nawrocki. Nel frattempo, Donald Trump, padre putativo di tutti costoro, ha già notificato al Ministero della Difesa romeno una riduzione di 800 unità del contingente militare statunitense nel Paese, aggiungendo in separata sede che la misura riguarderà anche Bulgaria, Ungheria e Slovacchia, secondo la testata romena G4Media. Pare in programma anche la dismissione di 2.000 effettivi dai Paesi baltici. Si tratta di aggiornamenti che, seppur ancora in certo qual modo lungi dal concretizzarsi ufficialmente, testimoniano di una tendenza che marcia in senso contrario ai proclami di “unità” e “coesione” rilanciati all’ombra della bandiera blu stellata. (JC)




