Il Tazebao – Con le mani (relativamente) legate a Gaza, Netanyahu ha rivolto il suo sguardo distruttore sul Libano e sulla Siria, preso com’è dalla paura di dover affrontare, a guerra finita, i processi per corruzione e abuso di fiducia che si stanno trascinando da quasi dieci anni: a tal fine ha chiesto ieri una grazia ufficiale al Presidente dello Stato d’Israele, Isaac Herzog. Di anni ne è invece trascorso uno solo dall’inizio dell’offensiva con cui Hayat Tahrir al-Sham è rapidamente arrivata a Damasco costringendo alla fuga Bashar al-Assad, ma anche da quando, già il giorno dopo, Israele stesso approfittò del caos generale per ampliare la sua occupazione delle Alture del Golan mettendo fuori gioco, con una serie di bombardamenti mirati, tutte le basi, le postazioni e gli armamenti militari siriani. Quello di quattro giorni fa su Damasco ha ucciso 10 civili, tra cui donne e bambini, e ne ha ferito un numero ancor maggiore, mentre l’incursione degli occupanti a Beit Jinn, villaggio appartenente all’amministrazione della capitale e situato al confine col Libano, ha provocato il ferimento di 6 soldati israeliani e l’uccisione di 20 siriani. Tali eventi si collocano in un contesto di profonda instabilità interna che ha visto importanti manifestazioni di alawiti a Latakia, Tartus, Jableh e Banias contro il governo centrale, ma anche nella stessa Damasco, dove unanime è emerso il desiderio di lanciare una «Jihad contro Israele». Nell’area controllata dai curdi, a est dell’Eufrate, è stato segnalato l’atterraggio di due aerei cargo militari americani, ad Al-Shaddadi e Kharab al-Jir nella campagna di Hasakah, con l’ISIS che ha rivendicato l’attacco su una petroliera vicino a Dhiban. Vecchi e nuovi fantasmi aleggiano dunque sulla Siria, col mai sopito interesse americano che non risparmia nemmeno i rappresentanti di quel governo con cui il giorno prima si gioca a pallacanestro e il giorno dopo se ne avvalla l’uccisione. (JC)




