Il Tazebao sposta la sua prospettiva, da sempre concentrata sui mari caldi, all’Artico che, complice il cambiamento climatico, potrebbe essere un terreno di scontro tra le potenze.
Inoltre, in tempi di scarsità, le risorse dell’Artico possono essere determinanti.
I cambiamenti climatici hanno sempre determinato degli slittamenti delle aree focali del globo, quelle a cui concorrono le grandi potenze, e il riscaldamento globale pone un’ultima frontiera: l’Artico.
Il Consiglio Artico, istituito nel 1996, era stato annunciato come un’arena di dialogo globale, senza fini geopolitici, ma nel 2019 Mike Pompeo ha annunciato che “i tempi sono cambiati”.
Forse qualcuno si era illuso che la Storia fosse finita durante una parentesi di pax americana, ma non era così difficile prevedere che un territorio che si sta rapidamente scongelando, con vaste distese di gas e minerali intonse; un territorio con tre rotte marittime principali, scorciatoie per la circumnavigazione globale, sia uno dei campi prediletti della competizione fra potenze.
Soprattutto in un momento in cui qualsiasi ghiacciaio scandinavo disciolto diventa territorio di esplorazione fossile.
La rotta del Mare del Nord risparmia più della metà delle miglia nautiche da Shanghai al Nord Europa rispetto al Canale di Suez, mentre lungo il passaggio più antico del mondo, la rotta dell’incenso, passa ancora il 30% del grano e del riso globali.
Il sogno dell’esploratore olandese Barents, a caccia di una rotta per la Cina e per l’India nella lotta per l’egemonia globale, va realizzandosi: chi avrà l’Artico avrà il mondo in pugno. Al momento non viene sfruttato appieno: la distanza non supplisce al tempo e al rischio di navigare le acque ghiacciate se non in piena estate, anche se per un navigatore esperto è preferibile il ghiaccio ai pirati — oppure a imprevisti internazionali come il blocco di Suez.
Ma diverse rotte dell’Artico stanno diventando sempre più agevoli da navigare nel mese di settembre, allungando il periodo di percorribilità; si stima, infatti, che fino all’80% dei ghiacci della rotta più percorsa, la Northwest, potrebbe sciogliersi nelle estati sempre più lunghe da qui al 2050.
Una delle cause individuate è il buco dell’ozono che, pare, si possa restringere di nuovo limitando l’utilizzo di specifici gas grazie agli accordi internazionali. Ancora moltissimo sfugge agli scienziati ed è improbabile che fra le potenze mondiali si possa raggiungere un accordo sulle emissioni in un’era dove la crescita economica-digitale diventa l’imperativo esistenziale della competizione.
Prospettive opposte: Canada e Russia
L’Artico e il suo scioglimento, paradossalmente, rappresenta un incentivo per alcuni a inquinare. Il Canada è il vincitore netto della sfida globale al cambiamento climatico: popolazione in crescita e concentrata nel tessuto urbano, la maggior riserva d’acqua potabile al mondo, un contenzioso per una delle rotte artiche e distese inesplorate di gas e risorse naturali.
Il Paese va chiudendosi in un isolazionismo rigido basato sul controllo totale dei suoi cittadini grazie a un pervasivo biopotere che non accenna ad allentare la cinghia dopo due anni di Covid – forse in preparazione per una revanche sul fratello maggiore del continente – a cui contende il Northwest Passage dei mari artici, volendolo tutto per sé.
La Russia, dall’altra parte, potrebbe perdere molto del suo vantaggio anche a causa del riscaldamento. Non a caso, spinge per l’aumento del costo delle sue materie prime. Verrà trascinata violentemente in Europa quando il gelo invernale, che ha impedito le avanzate degli eserciti più arditi, si scioglierà?
La presidenza del Consiglio Artico spetta alla Russia in questo biennio 2021-2023 e il mandato è solo a metà, ma potrebbero esserci ancora dei cambiamenti. Le sue zone economiche sono a rischio e i vicini, Stati Uniti e Paesi scandinavi, saranno liberi di navigare vicino alle sue coste, pur non avendo diritto a transitare se non con previa autorizzazione. Possibile terreno di scontro aperto, dunque, l’Artico, anche perché meno agibile per una guerra su larga scala.
Ma queste domande sul lungo periodo non possono sfuggire né ai residenti pluridecennali del Cremlino, né alla Casa Bianca. Forse, sotto l’ombra della bomba, a Est si preferisce venire al dunque prima che tutti i fianchi siano scoperti.