Anche in Siria si colpiscono i cristiani, mentre Al-Sharaa è pronto a vendersi anche il Golan. Il Tazebao del giorno

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Il TazebaoPezzo per pezzo si smantella un’altra storica terra cristiana: se in Armenia infuriano proteste e repressioni contro la Chiesa, in Siria sono bastati due terroristi per uccidere 25 persone all’interno della Chiesa greco-ortodossa di Sant’Elia a Damasco, in un contesto in cui le minoranze religiose non sunnite, come anche i sunniti contrapposti al nuovo regime, subiscono ogni giorno atti di violenza, discriminazione ed emarginazione. A ciò si assommano i mai sopiti bombardamenti israeliani, che nel mese di giugno hanno colpito con particolare virulenza le città costiere di Tartus e Latakia e sul terreno hanno determinato una nuova avanzata nel Golan, con l’entrata delle truppe delle IDF a Qahtaniya, nella provincia di Qunaitra. Il pretesto ufficialmente adottato, quello della «protezione dei drusi», che contestualmente continuano a rivendicare la secessione del sud, ove predominano, cozza con episodi come l’incursione, sempre di metà giugno, nell’area poco distante di Beit Jinn: un morto e sette rapiti il bilancio. Frattanto, il nuovo presidente ad interim Ahmed al-Sharaa, ringalluzzito dalle promesse di revoca delle sanzioni (parzialmente mantenute) da parte di Stati Uniti e Unione Europea, è sempre più ansioso di riappacificarsi con Israele, anche a costo di rinunciare ufficialmente al territorio storicamente siriano del Golan. Oltre al danno di una lotta pluridecennale tradita (la sezione ad essa dedicata sul sito della Syrian Arab News Agency è infatti scomparsa), la beffa nel fatto che il principale responsabile del tradimento ha avuto come nome di battaglia Abu Mohammad al-Julani, liberamente traducibile come «discendente di Maometto del Golan». E questo nonostante Israele abbia disabilitato l’intera rete di difesa aerea sin dai primi giorni seguiti alla caduta di Assad, che con tutti i suoi limiti e difetti i missili di Tel Aviv li faceva abbattere e rifiutava ogni normalizzazione con essa proprio sul nodo gordiano di quelle alture, e abbia usato la Siria come un supplemento del proprio spazio aereo, rifornendovi indisturbata addirittura gli aerei in volo per bombardare l’Iran e neutralizzargli i droni nella recente guerra di giugno. Segnali sicuramente non graditi ad Ankara, dove Erdoğan vuole a sua volta servirsi dell’ex provincia romana per contenere lo Stato ebraico e fargli pressione, tramite accordi con Damasco nell’ambito della difesa che porterebbero le truppe turche a ridosso dei suoi confini. Paradossalmente, un eventuale spostamento della Siria dalla parte di Stati Uniti, Israele e Arabia Saudita potrebbe rendere la Turchia, storica sostenitrice delle milizie dell’ex Al-Nusra reinventatesi istituzioni, il grande sconfitto geopolitico della caduta di Assad. (JC)

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