Il Tazebao – Sabato 27 settembre i cuori e le memorie sono volati a Beirut, le cui piazze si sono riempite di fedeli e militanti intenzionati a continuare la lotta antisionista, nel primo anniversario dell’uccisione di Hassan Nasrallah e altri dirigenti e membri di Hezbollah nella famigerata strage dei cercapersone. Come in una vendetta, o un ritorno del karma per chi protende verso il buddismo, un anno dopo, pur nell’estemporaneo indebolimento dell’Asse della Resistenza con la caduta della Siria baathista e il riavvicinamento del nuovo regime all’Occidente (riallacciati i rapporti anche con l’Ucraina dopo la Corea del Sud, e in via di definizione un accordo-capitolazione per la sostanziale cessione del Golan a Tel Aviv), Benjamin Netanyahu è stato umiliato in mondovisione da una sala prontamente svuotatasi prima dell’inizio del suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU: il quotidiano Ynet ha contato addirittura 77 delegazioni che si sono alzate dai propri posti per non ascoltarlo, tra cui risaltano, in Europa, Irlanda, Spagna, Slovenia, Macedonia del Nord e San Marino (ultima in ordine di tempo, ad oggi, a riconoscere lo Stato di Palestina, il quale da parte sua ha già presentato ufficialmente domanda di adesione ai BRICS), oltre a numerosi Paesi africani e musulmani, Siria compresa, e due Paesi socialisti, ovvero Cuba e Corea del Nord. Altri droni yemeniti hanno nel frattempo colpito Eilat, mentre una decina di soldati israeliani tra uccisi e feriti sono caduti vittima degli attacchi di Hamas negli ultimi giorni; Hezbollah, lungi dal disarmarsi, continua la propria riorganizzazione, mentre nessuno in Iraq è stato intimorito dalle minacce di intervento contro le milizie sciite attive nella lotta militare in solidarietà con Gaza. Se anche tutto ciò non basterà per fermare la guerra, il prezzo della sua continuazione si fa tuttavia sempre più alto per Israele. (JC)
