Vale la pena di riflettere su una delle implicazioni internazionali della fondazione del Partito Comunista Italiano, destinata ad avere un significato notevole nella storia recente.
Analogamente alle scissioni dei partiti socialisti avvenute in altri Paesi d’Europa e del mondo, anche in Italia l’esempio della Rivoluzione d’Ottobre e della nascita dell’Unione Sovietica furono levatori della creazione di un partito per la rivoluzione mondiale, quindi antinomico a quel gioco parlamentare che aveva visto partecipi i socialisti nella definizione di una politica estera italiana.
Il partito comunista italiano era parte non costitutiva ma in un certo senso derivata di un soggetto internazionale, il Comintern appunto, o Terza internazionale se si preferisce. Non erano le vicende italiane a creare il partito, ma l’effetto dirompente di una trasformazione internazionale, che con un messaggio universalistico e un piano di trasformazione globale, si direbbe oggi, si proponeva di giungere in ogni paese ed abbattere lo stato di cose esistenti, perché il proletariato non aveva nazione.
Certamente il partito riprendeva lo spirito delle due precedenti internazionali, organizzazioni che riunivano partiti, gruppi, militanti di ispirazione socialista e prima ancora anarchica; ma a differenza delle antesignane, il Comintern contava su un territorio, su uno stato, su una vittoria incomparabile coi successi elettorali della socialdemocrazia tedesca che aveva invece rappresentato il nerbo della Seconda internazionale.
Sebbene nel 1921 la reazione staliniana fossa ancora ben lontana e non definibile, il centro del Comintern era ovviamente a Mosca, e lì guardavano i partiti comunisti anche quando, come in Italia, arrivavano al termine di una serie di occupazioni, lotte e rivolte senza esito rivoluzionario.
Per la prima volta si creavano legami transnazionali fra due Paesi, Italia e Russia, al di fuori dei canoni sino ad allora sperimentati. Legami di Partito, con una gerarchia destinata a divenire sempre più marcata con la politica grande russa di Stalin, fino allo scioglimento del Comintern nel 1943: pro bono pacis dei nuovi alleati del dittatore del Cremlino, gli Stati Uniti e il Regno Unito, dopo la rottura del precedente legame con la Germania nazista.
In quel 1921, anche in Italia, il legame transnazionale rappresentato dal Comitern traduceva un progetto politico che appunto travalicava i confini nazionali e quindi, per definizione, lo stesso concetto di politica estera sino ad allora conosciuto. Anche se il partito comunista italiano dovrà attendere fino alla Liberazione per sperimentare un’eteroclita stagione di governo – certamente non rivoluzionario – dobbiamo ritornare a quel passaggio storico per datare l’ingresso della società e della politica italiana nel Secolo Breve, se si vuole, o in quell’estero vicino consustanziale alla politica russa.
O ancora, secondo un datato saggio di Arno Mayer purtroppo mai tradotto in italiano, nel “wilsonismo contro leninismo”, tassello sul quale si costruì in seguito il sistema della Guerra Fredda. Ma nel 1921 Woodrow Wilson era giunto alla conclusione della sua presidenza, dove aveva cercato di rispondere al messaggio universalistico della Rivoluzione d’Ottobre con una costruzione di principi basata sulle nazioni e sul destino manifesto di quella americana. Ovvero di una nazione ben più conosciuta dagli italiani rispetto alla più vicina ma esotica Russia, perché lido di approdo di una lunga emigrazione nella quale però, invece della fine dello sfruttamento promessa in Unione Sovietica, si trovava la dura realtà sociale del capitalismo in ascesa.