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Corea del Nord, verso l’VIII Congresso del Partito del Lavoro

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All’atteso Congresso del Partito del Lavoro previsto per gennaio si dovranno considerare anche gli effetti delle elezioni USA 2020.

Il prossimo gennaio, Pyongyang, capitale della Repubblica Popolare Democratica di Corea (meglio conosciuta come Corea del Nord), vedrà aprirsi i lavori dell’VIII Congresso del Partito del Lavoro dopo cinque anni dal precedente.

La scelta di Kim

Già da questo semplice fatto si nota come il Dirigente supremo del Partito, dello Stato e dell’Esercito Kim Jong Un abbia rimesso la vita politica del paese su un binario di regolarità e stabilità: l’intervallo di cinque anni, previsto dallo Statuto dello stesso PLC, era stato per varie ragioni accantonato nel lunghissimo periodo di 36 anni intercorso tra il VI e il VII Congresso, tenutisi rispettivamente nell’ottobre 1980 e nel maggio 2016.

L’VIII Congresso del Partito del Lavoro di Corea (di cui ha trattato anche Elvio Rotondo) è particolarmente importante perché si svolgerà in un contesto interno e internazionale estremamente fluido: l’emergenza COVID-19, le calamità naturali, la recente scoperta di “gravi crimini” commessi dal comitato di Partito dell’Università di Medicina di Pyongyang, le elezioni americane (per approfondire), i progressi nell’industria missilistica e la Battaglia degli 80 Giorni per la riabilitazione dalle suddette calamità e il conseguimento di nuovi successi nell’edificazione infrastrutturale in vista dell’evento di gennaio. Sono tutti fenomeni, questi, che hanno caratterizzato, nel bene e nel male, la vita della RPD di Corea in quest’ultimo anno.

Una svolta nella diplomazia

Ma l’VIII Congresso sarà rivestito di questa importanza poiché sarà chiamato a fare il bilancio del periodo trascorso dal Congresso precedente, periodo che ha visto inaugurarsi la svolta diplomatica del 2018-19, in cui Kim Jong Un ha incontrato, anche più volte, le più alte cariche di tutte e tre le superpotenze: Xi Jinping per la Cina, Trump e Pompeo per gli USA, Lavrov e Putin per la Russia, oltre a tre vertici inter-coreani per la prima volta dopo 11 anni, nei quali ha incontrato il presidente sudcoreano Moon Jae-in portandoselo pure a Pyongyang e facendolo parlare davanti a 150.000 nordcoreani in occasione del vertice di settembre.

Non si è ancora concretizzato, nonostante la reciproca disponibilità comunicata sempre nel 2018, l’incontro tra Kim Jong Un e Assad, mentre si sono rafforzati i rapporti partitici e diplomatici con altri paesi socialisti come Cuba e Vietnam: è del 16 novembre 2018 la visita ufficiale del presidente cubano Miguel Díaz-Canel a Pyongyang. Risale al 1° marzo 2019 il viaggio di Kim Jong Un ad Hanoi per incontrare il presidente Nguyen Phu Trong.

Da segnalare anche il colloquio col presidente di Singapore, paese ospite dello storico vertice RPDC-USA del 12 giugno 2018, Lee Hsien Long, nel quale si è parlato anche di accordi commerciali, scambi e cooperazione in una serie di ambiti.

Dunque, cinque incontri con Xi Jinping, uno con Lavrov e con Putin, addirittura tre con Trump (primo presidente americano in carica ad aver mai incontrato un Líder Maximo nordcoreano) nel giro di un anno e due, a contorno, con Mike Pompeo.

https://iltazebao.com/italia-corea-del-nord-20-anni-di-rapporti-diplomatici/

Un attivismo che restituisce centralità alla Corea del Nord

Dal punto di vista geopolitico, questi enormi successi della Corea del Nord sul fronte diplomatico hanno garantito al paese un “posto al sole” nella comunità internazionale, una posizione di forza in ogni eventuale trattativa o scontro (si spera sempre solo verbale e politico) con gli storici nemici americani, sudcoreani e giapponesi.

Pyongyang ha infatti rinsaldato notevolmente la sua alleanza con Mosca e Pechino nonostante i ripetuti test missilistici e atomici del periodo 2013-17 avessero fatto insorgere in molti analisti occidentali il dubbio e varie ipotesi di rottura con gli storici alleati russi e cinesi, i quali almeno formalmente condannavano dette azioni e si univano al coro delle sanzioni in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ciò ha altresì permesso al governo nordcoreano di far sentire più distintamente la sua voce di militanza per un mondo multipolare in cui regnino indipendenza e sovranità.

Non staremo qui a fare la cronistoria del sostegno che la RPDC ha accordato a vario titolo, negli anni, a movimenti come il Partito delle Pantere Nere, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, l’Irish Republican Army o Hezbollah, piuttosto che menzionare i volontari mandati in Vietnam o i rapporti che essa ha avuto con la Libia di Gheddafi (avviata ad una difficile pace) e paesi “ribelli” del campo socialista est-europeo come la Jugoslavia di Tito e la Romania di Ceauşescu. Per non dimenticare, ovviamente, le storiche relazioni di amicizia col Venezuela bolivariano, con la Siria degli Assad (rafforzatesi negli aiuti in armi e personale all’Esercito Arabo Siriano nell’ormai decennale guerra civile che ha sconvolto il paese), con l’Algeria e altri paesi africani avviatisi sulla via dell’indipendenza dopo la decolonizzazione, col Perù di Fujimori. Basti ricordare la partecipazione attiva e in primo piano, dal 1975 a oggi, che la Corea del Nord vanta nel Movimento dei Non Allineati in nome dell’indipendenza globale, obiettivo che persegue apertamente sin dai tempi di Kim Il Sung (1912-1994), fondatore della Repubblica Popolare Democratica.

Come riposizionarsi dopo USA 2020?

È poco probabile, quindi, che l’VIII Congresso del Partito del Lavoro in gennaio segni un cambio di rotta. Più probabile che, sapendo quasi certamente per quel periodo l’esito delle elezioni americane, assisteremo a una nuova strategia, nel bene o nel male, nei riguardi del comportamento da tenere verso gli Stati Uniti.

È palese, infatti, che a Pyongyang preferiscano la rielezione di Trump, essendo stato questi l’unico in grado di costruire una relazione (pur tra mille contraddizioni e passi indietro) col governo nordcoreano. Le malcelate minacce rivolte da Biden a paesi indipendenti, socialisti e amici della Corea del Nord come Cuba, Nicaragua e Venezuela, e relative minacce da parte di Pyongyang al suo indirizzo, fanno effettivamente poco sperare che questa relazione possa traslarsi all’eventuale nuovo presidente dem.

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